il manifesto
13 Giugno 1999 
 
LETTERA AL PRESIDENTE

 Caro D'Alema, fu vero orgoglio?

EDGARDO BONALUMI 

C aro Massimo,

 apprendo che ti senti orgoglioso sia della guerra condotta, sia della sua conclusione. Siccome vorrei capire meglio, provo a ricapitolare: secondo il diritto internazionale vigente, l'Italia ha partecipato a una guerra di aggressione contro un paese sovrano, in violazione della carta dell'Onu, di almeno due articoli della Costituzione italiana, delle stesse finalità enunciate nel trattato del Nord Atlantico.

 Tale scempio è stato giustificato con la necessità di aiutare gli albanesi del Kosovo e costringere Slobodan Milosevic ad accettare le condizioni di Rambouillet. Ma, dopo il ritiro degli osservatori Osce, le persecuzioni nei confronti dei kosovari si sono intensificate e, con l'inizio dei bombardamenti della Nato, la situazione è precipitata in una vera e propria catastrofe umanitaria. Oggi, villaggi e città del Kosovo sono ridotti a cumuli di macerie, oltre ottocento mila profughi non sanno né quando né dove rientrare. In Serbia i bombardamenti sono stati usati come moderno strumento di tortura della popolazione civile, si sono annientate le basi strutturali della vita di un popolo, sono stati colpiti ospedali, treni, ospizi, ambasciate, mercati, profughi. Risorse incalcolabili sono state bruciate attraverso le distruzioni e le spese militari. L'intera zona del conflitto è a rischio di disastro ambientale. Le relazioni internazionali hanno registrato un generale deterioramento.Poi è arrivato l'accordo, che modifica a favore della Jugoslavia punti essenziali dell'ultimatum di Rambouillet, e abbiamo avuto l'atroce confermache il conflitto si poteva evitare, e che si è voluta la guerra per la guerra.

 Di tutto questo tu sei, in Italia, il principale responsabile. E solo un folle, e non è il tuo caso, potrebbe andare orgoglioso di un così catastrofico fallimento.

 Evidentemente c'è dell'altro: infatti sappiamo che l'Alleanza atlantica ha conseguito rilevanti obiettivi simbolici e geopolitici, ma si dà il caso che essi appaiano, non so per quanto tempo ancora, indicibili nella sinistra italiana. Allora conviene enfatizzare (ci sono le elezioni) "il ruolo di pace" dell'Italia. E probabilmente il fido Cuperlo sta già scrivendo il tuo prossimo libro, che sarà un successo editoriale, e darà un piccolo contributo all'incremento del Pil, a conferma che il dopoguerra, come hai più volte dichiarato, sarà un buon affare per l'economia italiana. E potremo leggere, telefonata per telefonata, quanto insonne, sagace e soprattutto decisivo sia stato il tuo operare per la pace.

 Io preferisco dare credito a un sobrio commento del Corriere della sera: "In realtà il margine di autonomia dell'Italia rispetto alla strategia della Nato è stato minimo. Ma Massimo D'Alema ha utilizzato con abilità la crisi per accreditarsi sul piano internazionale agli occhi dell'alleato americano". Che sia questo a riempirti d'orgoglio e a farti ripetere ossessivamente "ora gli alleati ci rispettano di più"? Qui cedo la parola a Lietta Tornabuoni: "Quindi sarebbe valsa la pena di partecipare attivamente a una simile guerra? Una prova di fedeltà la si è offerta, apprezzamenti dei più potenti si sono ottenuti, possiamo stare contenti? La sensibilità è come il coraggio: ce l'hai o non ce l'hai e si sa che D'Alema non ce l'ha". E più avanti ti prende a modello per disegnare il ritratto dei tanti ex-comunisti aspiranti parvenus: "Dominati dall'antica ansia piccolo-borghese (cosa dirà la gente?) pur di essere accettati, di partecipare, di fare bella figura, di venire invitati, di godere di considerazione, di non venir messi alla porta, paiono disposti a dire o farequalsiasi cosa. E a volte, purtroppo, la fanno".

Deve essere andata proprio così se, fin dall'inizio della guerra, hai potuto personalmente godere delle lodi e dell'incondizionato sostegno dell'intera destra e dell'atlantismo militante, da Berlusconi a Fini, da Giuliano Ferrara a Casini, da Cossiga a La Malfa. E se Luttwak ti ha potuto definire statista, che, nella sua visione imperiale del mondo, significa un solerte e sveglio direttore di filiale, professionale, che sa stare al suo posto, sempre attento alle esigenze e ai voleri della casa madre, meritevole di qualche gratifica una tantum.

 Può darsi che, in una delle prossime notti d'estate, il kantiano cielo stellato sopra di te, tu possa ricordare con disagio la risposta del presidente degli Stati uniti, richiesto di un parere sul tuo conto, così intrisa di quella finta bonomia un po' insultante che tu riservi ai Manconi, ai Crucianelli, ai Mastella: "D'Alema? E' una roccia di stabilità atlantica". E forse potrà tormentarti il dubbio che persino Bettino Craxi avrebbe mostrato maggior dignità democratica nei confronti di Ocalan, e financo Andreotti maggior fermezza nel contrastare i generali della Nato.

 Qualche anno fa mi hai detto che le poesie di Sandro Penna sono una delle tue letture preferite. Se apri il volume dell'edizione completa alla pagina 211, potrai leggere:

 "Oh non ti dare arie / di superiorità. Solo uno sguardo io vidi / degno di questa. Era / un bambino annoiato in una festa".