Le proprietà quantistiche della radiazione elettromagnetica: evidenze sperimentali, interazioni con la materia e applicazioni in un campo specifico della fisica contemporanea; eventuali proposte di ricerca.

 

 

Si fa generalmente risalire al 1900 la data di nascita della vecchia teoria dei quanti: in quell'anno fu utilizzata per la prima volta l'ipotesi che la radiazione elettromagnetica potesse possedere energia solamente in multipli interi di una quantità elementare dipendente dalla frequenza. Max Planck si avvalse di questa ipotesi per ottenere una forma funzionale della densità di energia nelle cavità isoterme in funzione della frequenza, Y(n,T), che fosse in accordo con i dati sperimentali allora noti.

Tuttavia, se si desidera guardare alla storia della fisica quantistica da un punto di vista sperimentale - e segnatamente alle prime evidenze sperimentali di un comportamento quantistico della radiazione elettromagnetica - bisogna a mio parere riferirsi soprattutto a due esperimenti successivi al lavoro di Planck: l'esperimento di Robert Millikan del 1914 e quello di Arthur Compton del 1922. Questi due esperimenti fruttarono entrambi il premio Nobel ai loro artefici, e costituiscono due capisaldi della comprensione moderna di come i fotoni interagiscono con la materia; tra gli altri effetti principali, i due tipi di scattering (Thomson -scattering da elettroni liberi - e Rayleigh - lo scattering fra la radiazione e gli atomi) che la radiazione elettromagnetica sperimenta nell'interazione a bassa energia con la materia sono comprensibili nella loro fenomenologia anche da un punto di vista classico, mentre l'effetto dominante alle alte energie, la produzione di coppie elettrone-positrone, venne studiato molti anni più tardi, e ce ne occuperemo qui dopo aver discusso i due esperimenti di Millikan e Compton.

 

L'effetto fotoelettrico fu scoperto verso la fine del secolo scorso, e attorno al 1900 se ne conoscevano solamente pochi aspetti e in maniera molto approssimativa. Era stato dimostrato come l'irraggiamento di metalli alcalini con luce ultravioletta portava questi metalli a potenziali più elevati, e che il potenziale dipendeva in maniera non nota dalla frequenza della luce incidente; il lavoro di Lenard nel 1902 aveva poi mostrato come vi fosse una relazione fra la frequenza della luce e la massima energia cinetica degli elettroni, e come non vi fosse un apprezzabile intervallo temporale fra l'irraggiamento e l'emissione degli elettroni. Nel 1905 era poi venuto il lavoro teorico di Albert Einstein, che aveva ripreso l'ipotesi dei quanti di Planck per prevedere con essa gli aspetti fondamentali dell'effetto fotoelettrico: se l'effetto era dovuto alla singola cessione di un quanto di energia hn dalla radiazione a un elettrone nel metallo, l'elettrone sarebbe emerso dal metallo con un'energia cinetica massima pari a

 

Ek = hn - e f0 = e V,

 

ove f0 è una costante caratteristica del metallo e V è il potenziale minimo in grado di arrestare i fotoelettroni.

Da questa ipotesi scaturiscono almeno cinque fatti sperimentalmente verificabili:

1) che per ogni frequenza della radiazione al di sopra di un valore critico esiste una ben definita massima velocità di emissione degli elettroni;

2) che la relazione fra la frequenza e il potenziale in grado di arrestare tutti gli elettroni emessi è lineare;

3) che la pendenza della retta nel piano V-n è numericamente eguale a h/e;

4) che l'intercetta della retta con l'asse n fornisce la minima frequenza per la quale l'effetto ha luogo;

5) che il potenziale di contatto fra due conduttori è dato dall'equazione

Vc = h/e ( n0 - n0' ) - ( V0 - V0' ),

se n0 è la frequenza di soglia e V0 il potenziale di arresto.

Molti fisici si misero all'opera per cercare una verifica delle previsioni di Einstein; fra questi vi sono anche nomi illustri, come Richardson e lo stesso Compton. Fu però solo Millikan a ottenere una verifica completa dei cinque fatti suelencati; a lui spetta il merito non solo di aver capito come fosse indispensabile, per misurare con accuratezza la pendenza menzionata al punto (3) e l'intercetta del punto (4), lo studio dei metalli alcalini (i soli per i quali la regione di frequenze attive fosse sufficientemente estesa da permettere efficaci estrapolazioni) in condizioni sperimentali che permettessero la misura simultanea dei potenziali di arresto e dei potenziali di contatto; ma anche di aver creato un'apparato sperimentale formidabile per quei tempi, in grado di misurare tutte le quantità necessarie per diversi metalli, e di rimuovere da questi le pellicole di ossido che normalmente si formano sulle superfici alcaline, in condizioni di alto vuoto. Solo con i suoi delicati accorgimenti fu possibile una verifica sperimentale delle previsioni di Einstein.

E' inutile dire che la teoria classica non riesce a spiegare nessuno dei fenomeni osservati nel processo di fotoemissione, tranne forse la dipendenza lineare della corrente massima raccoglibile da un anodo dall'intensità della luce incidente. Uno dei punti in cui la teoria classica fallisce clamorosamente è nella previsione di un intervallo temporale fra l'irraggiamento e l'emissione degli elettroni, che nel caso di luce di intensità sufficientemente bassa può essere calcolabile anche in ore o giorni interi: l'emissione di elettroni è invece un processo virtualmente istantaneo nella teoria di Einstein, così come effettivamente si osserva.

 

Lo scattering dei raggi X da reticoli cristallini aveva permesso nel 1912 a Max Von Laue di dimostrarne la natura ondulatoria, ma nel 1920 Gray, lavorando con raggi X di alta energia, osservò un piccolo cambiamento nella frequenza dei raggi diffusi, che sembrava dipendere dall'angolo di scattering. E' inutile dire che non esiste una spiegazione soddisfacente di questo effetto nell'ambito della teoria ondulatoria della radiazione elettromagnetica. La spiegazione quantistica fu data nel 1922 da Arthur Compton, che compì anche un esperimento per verificare la correttezza dei suoi calcoli. Se si interpretano i raggi X come singoli fotoni di momento p e lunghezza d'onda l = h/p, si può descrivere lo scattering nel centro di massa dell'elettrone (che supponiamo libero, e a riposo) per mezzo dei due angoli di emissione del fotone, q, e dell'elettrone, f, rispetto alla direzione di incidenza: la conservazione dell'energia e dell'impulso forniscono allora

hc/l = hc/l' + (m2ec4 + pe2c2)1/2

h/l = (h/l') cos q + pe cos f

0 = (h/l') sin q + pe sin f.

 

Quadrando ed eliminando l'angolo f si ottiene subito

 

l - l' = h/mec (1 - cos q)

 

che è la formula trovata da Compton. La verifica sperimentale di questo effetto passa dunque attraverso la determinazione di differenze di lunghezza d'onda dell'ordine di hc/mec2 = 0.024 angstrom: l'effetto è molto piccolo se l'energia dei fotoni non è sufficientemente elevata. Inoltre, l'elettrone non si trova a riposo come è stato assunto nella derivazione della formula di Compton, e ciò causa un'allargamento nella distribuzione di lunghezze d'onda dei fotoni diffusi che rende meno netto il fenomeno. Infine va notato che non tutti gli elettroni possono supporsi liberi: lo scattering dagli elettroni legati negli strati atomici più interni equivale a uno scattering da tutto l'atomo, e in queste condizioni non vi sarà cessione di energia, e la lunghezza d'onda rimarrà invariata (ciò corrisponde a sostituire alla massa dell'elettrone la massa dell'intero atomo nella formula di Compton): assieme alla distribuzione di lunghezze d'onda modificate vi sarà perciò una distribuzione centrata sul valore della lunghezza d'onda incidente.

 

La quantità di maggiore interesse nello scattering Compton è la sezione d'urto, che è funzione dell'energia del fotone. Per valori molto bassi dell'energia, lo scattering è ben descritto anche dalla teoria classica, e la sezione d'urto è quella di Thomson:

 

sT = 8/3 p re2 = 8/3 p (e2/mec2) = 0.665 barn;

 

al di sopra di qualche keV, è necessario utilizzare la formula di Klein-Nishina

 

sC = 2 p re2 f(g),

 

ove f è una funzione decrescente del fattore relativistico g = hn/mec2.

 

Sebbene di importanza storica notevolmente inferiore, il terzo fenomeno che tratterò in questa breve descrizione delle interazioni della radiazione con la materia ha un'importanza fondamentale nella fisica contemporanea. Si tratta della produzione di coppie elettrone-positrone, fenomeno intrinsecamente quantistico che si verifica quando un fotone di energia superiore a 1.022 MeV interagisce con il campo elettromagnetico di un nucleo atomico: il fotone "materializza" in una coppia di particelle, cedendo al nucleo spettatore un impulso che permette di soddisfare la conservazione del quadrimpulso. Questo fenomeno cresce rapidamente di importanza all'aumentare dell'energia del fotone, e domina sull'effetto Compton per energie superiori a una decina di MeV; la sua sezione d'urto è inoltre proporzionale a Z2a3. L'effetto può anche aver luogo nel campo di un elettrone isolato, nel qual caso la sezione d'urto dipende da Z alla prima potenza.

 

I tre fenomeni ora descritti -effetto fotoelettrico, effetto Compton e produzione di coppie- sono i più importanti nella descrizione dell'interazione dei fotoni con la materia. Il primo è di gran lunga il più probabile se il fotone ha energie comprese fra qualche eV e qualche centinaio di keV, il secondo generalmente prevale per energie attorno al MeV -tranne in alcuni materiali ad alto Z, per i quali l'effetto fotoelettrico può continuare a dominare fino a energie alle quali prevale la produzione di coppie -, e il terzo domina la sezione d'urto totale alle energie superiori alla decina di MeV. Quanto detto dipende in una certa misura dal numero atomico del materiale attraversato, dato che la dipendenza delle sezioni d'urto dal valore di Z è diversa per i tre processi.

Le interazioni dei fotoni con la materia sono state oggetto di attenti studi a partire dagli anni '50, per la loro importanza nella fisica delle particelle elementari. I fotoni compaiono in quasi tutti i processi di alta energia, per produzione diretta o per emissione nel decadimento di particelle neutre o ancora nei decadimenti radiativi di particelle elettricamente cariche. Il fenomeno che maggiormente interessa la fisica delle particelle alle energie attualmente disponibili è comunque la produzione di coppie. E' infatti attraverso questo processo che i fotoni vengono rivelati e la loro energia viene misurata, nei calorimetri elettromagnetici.

 

Segue parte sui calorimetri e.m.