Misure di h
La costante di Planck h vale 6.63 10
-34 Js. Si tratta di un valore estremamente piccolo in termini di grandezze macroscopiche, e ciò giustifica la difficoltà di una sua precisa misura e la lentezza con cui le implicazioni della sua finitezza furono accettate, all'inizio del 1900. Basti dire a tal proposito che, nonostante l'estrema precisione con cui la formula
f
(n,T) = (8pn2/c3) hn / [ exp (hn/kT) -1 ]
mostrò subito di poter interpolare i dati sperimentali sulla radianza spettrale dalle cavità isoterme raccolti alla fine del diciannovesimo secolo da Lummer e Pringsheim, e nonostante il successo di Einstein nella comprensione dell'effetto fotoelettrico (1905) e delle caratteristiche generali del calore specifico dei solidi cristallini (1907)
- per i quali la legge di Dulong e Petit non era in grado di spiegare l'andamento del calore specifico in funzione della temperatura -, ancora nel 1914 l'ipotesi dei quanti veniva considerata da molti un "passo falso" per l'altrimenti fecondo Einstein, come rivela l'affidavit dell'Accademia Prussiana delle Scienze nell'accogliere Einstein come membro.
Misurare con precisione h equivale a trovare un sistema fisico in cui le leggi quantistiche manifestino un effetto macroscopico. La radianza spettrale ne è anche storicamente il primo esempio: questa è misurabile con facilità, se si dispone di dispositivi per l'analisi dello spettro, come un pirometro ottico o uno spettrometro. In effetti, la prima determinazione di h venne proprio dall'interpolazione dei dati sperimentali con la formula (1): ciò permise a Planck di ricavare il valore h = 6.885 10
-34 Js, quindi con uno scostamento dal valor vero pari solamente al 4.4%. Questo sottolinea il grande successo di Planck ( il fit di Planck permise tra l'altro di determinare k, la costante di Boltzmann, con un errore relativo del 3.5%: e dato che la conoscenza della costante di Rydberg R permette di trovare NA=R/k, segue che noto il valore di F (96500 C) diventa possibile determinare e, la carica dell'elettrone, con un errore di due ordini di grandezza inferiore ai valori che circolavano per questa grandezza nel 1900!).
La prima misura di h fruttò il premio Nobel, e così fu anche per la seconda: se la prima era stata rivoluzionaria per la profondità di concezione teorica, la seconda lo fu per la grande sapienza sperimentale che si rese necessaria. Si tratta del lavoro di Robert Millikan, le cui misure dell'effetto fotoelettrico con un apparato di una complessità sconosciuta a quel tempo permisero la verifica sperimentale di tutte le previsioni di Einstein: se l'effetto era dovuto alla singola cessione di un quanto di energia hn dalla radiazione a un elettrone nel metallo, l'elettrone sarebbe emerso dal metallo con un'energia cinetica non superiore a
Ek = hn - e f0 = e V,
ove f0 è una costante caratteristica del metallo e V è il potenziale minimo in grado di arrestare i fotoelettroni. Da ciò scaturiscono almeno cinque fatti sperimentalmente verificabili:
1) che per ogni frequenza della radiazione al di sopra di un valore critico esiste una ben definita massima velocità di emissione degli elettroni;
2) che la relazione fra la frequenza e il potenziale in grado di arrestare tutti gli elettroni emessi è lineare;
3) che la pendenza della retta nel piano V-n è numericamente eguale a h/e;
4) che l'intercetta della retta con l'asse n fornisce la minima frequenza per la quale l'effetto ha luogo;
5) che il potenziale di contatto fra due conduttori è dato dall'equazione
Vc = h/e ( n0 - n0' ) - ( V0 - V0' ),
se n0 è la frequenza di soglia e V0 il potenziale di arresto.
Molti fisici si misero all'opera per cercare una verifica delle previsioni di Einstein; fra questi vi sono anche nomi illustri, come Richardson e lo stesso Compton. Fu però per primo Millikan a ottenere una verifica completa dei cinque fatti suelencati; a lui spetta il merito non solo di aver capito come fosse indispensabile, per misurare con accuratezza la pendenza menzionata al punto (3) e l'intercetta del punto (4), lo studio dei metalli alcalini (i soli per i quali la regione di frequenze attive fosse sufficientemente estesa da permettere efficaci estrapolazioni) in condizioni sperimentali che permettessero la misura simultanea dei potenziali di arresto e dei potenziali di contatto; ma anche di aver creato un'apparato sperimentale formidabile per quei tempi, in grado di misurare, in condizioni di alto vuoto, tutte le quantità necessarie per diversi metalli, e di rimuovere da questi le pellicole di ossido che normalmente si formano sulle superfici alcaline. Il lavoro di Millikan permise di determinare h con una precisione dell’ 1% (h=6.56 10-34 Js).
I due metodi di misura di h ora discussi hanno un'importanza soprattutto storica, data la loro scarsa precisione per gli standards attuali. Le più precise misure di h sono oggi appannaggio di esperimenti che fanno uso di giunzioni fra superconduttori: le ormai celebri giunzioni Josephson e gli SQUIDs (Superconducting QUantum Interference Devices).
La nostra attuale comprensione del fenomeno della superconduttività si basa sulla descrizione degli elettroni di conduzione alle basse temperature come uno stato quantistico macroscopico con coerenza di fase di coppie di elettroni (la teoria BCS, da Bardeen-Cooper-Schrieffer). Se c'è coerenza di fase possiamo descrivere lo stato degli elettroni in due superconduttori con le funzioni d'onda globali
y
1 = (n1)1/2 exp (if1),y
2 = (n2)1/2 exp (if2),
ove n1 e n2 sono le densità di elettroni nei due superconduttori. Se questi sono separati da una sottile barriera di materiale non superconduttore (dispositivo che prende il nome di giunzione Josephson), le coppie possono passare da uno all'altro con una frequenza T. In presenza di una differenza di potenziale V fra i due superconduttori potremo allora scrivere:
ih/2p ¶y1/¶t = h/2p T y2 - e V y1,
ih/2p ¶y2/¶t = h/2p T y1 + e V y2,
da cui, sostituendo le espressioni delle funzioni d'onda, si trova
¶f1/¶t = -T (n2/n1)1/2 exp (if2-if1) + 2peV/h + i/2n1 ¶n1/¶t,
¶f2/¶t = -T (n1/n2)1/2 exp (if1-if2) - 2peV/h + i/2n2 ¶n2/¶t,
e quindi, dato che n1 e n2 rimangono praticamente costanti perché la corrente di tunnelling è piccola (n1=n2), prendendo la parte reale e sottraendo membro a membro si ottiene
¶(f2-f1)/¶t = -2p * 2eV/h,
ovvero
f2-f1 = (-2p * 2eV/h) t + d,
il che corrisponde a una corrente attraverso la barriera data da
I = I0 sin ( d - 2p * 2eV/h t ),
di frequenza w = 2eV/h.
Una misura molto accurata del rapporto h/e venne effettuata nel 1966/67 da Parker, Langenberg, Denenstein e Taylor (Parker et al., Phys. Rev. 177, 1969) utilizzando proprio questo effetto, chiamato effetto Josephson in corrente alternata. Essi utilizzarono giunzioni a effetto tunnel, come quelle descritte, e contatti puntiformi fra due superconduttori: questi si comportano in maniera del tutto analoga alle giunzioni a effetto tunnel. Le giunzioni a tunnel erano costruite con gli schemi Stagno-ossido di Stagno-Stagno e Piombo-ossido di Piombo-Piombo, mentre i contatti puntiformi erano costruiti con punte di Tallio o Niobio di pochi micrometri, messe in contatto con la superficie piatta di un altro materiale superconduttore.
Per le loro misure Parker e collaboratori irradiarono con microonde di frequenza opportuna le giunzioni, misurando le caratteristiche I-V con sensibili potenziometri. In effetti, se una giunzione è posta in un campo di microonde di frequenza angolare w, viene indotto un potenziale
v cos (wt+q)
tra i superconduttori. Il potenziale totale è allora
V+ v cos (wt + q),
e si ha perciò
¶f/¶t = (4pe/h) [ V + v cos (wt+q)],
e quindi la corrente
I = I1 sin [4peVt/h + (2ev/hn) sin (wt+q) + d].
Espandendo in funzioni di Bessel si trova
I = I1 S (-1)n Jn (2ev/hn) sin [ 4peVt/h - nwt - nw + d].
Quando 4peV/h=nw, la corrente ha una componente continua data da
Idc = I1 (-1)n Jn (2eV/hn) sin (d- nf),
che può essere variata tra i limiti ± I1Jn (2ev/hn) senza modificare il potenziale: perciò, a una serie di potenziali Vn=nhn/2e, compare una corrente addizionale sotto forma di gradino nella caratteristica I-V della giunzione Josephson. Una misura della frequenza delle microonde applicata e del potenziale al quale compaiono i gradini nella caratteristica forniscono dunque un valore di e/h. Per mezzo di molte diverse misure di questo tipo, effettuate sotto diverse condizioni sperimentali e con attente calibrazioni, Parker e collaboratori trovarono per il rapporto h/e un valore praticamente identico a quello a tutt'oggi accettato, con un errore relativo inferiore a una parte su un milione.