I primi passi della teoria dei quanti
Alla fine del secolo scorso il problema più scottante per la fisica teorica era quello della comprensione dei dati sperimentali sulla radiazione elettromagnetica dalle cavità isoterme. Fin dal 1859 grazie a Kirchoff si era giunti ad alcune cognizioni fondamentali sulla natura della radiazione termica: buoni assorbitori dovevano essere anche buoni emettitori di radiazione, e la radiazione nelle cavità doveva essere non polarizzata ed isotropa. Ma gli strumenti a disposizione dei fisici del tempo in questo campo verso la fine del secolo, le ormai celebrate leggi di Maxwell per l'elettromagnetismo, le leggi della termodinamica e quelle della statistica classica, avevano permesso di derivare leggi importanti sulla radiazione termica - la legge di Stefan-Boltzmann, che descriveva la dipendenza da T della potenza irradiata dai corpi, e la legge dello spostamento di Wien, che stabiliva come la distribuzione delle lunghezze d'onda dovesse scalare come l'inverso della temperatura del corpo. La loro applicazione alla determinazione della forma funzionale della densità di energia di una cavità isoterma produceva tuttavia un insuccesso clamoroso: non solo i risultati non erano in accordo con le determinazioni sperimentali, ma la previsione teorica non poteva essere corretta, dato che prevedeva un aumento indefinito della densità di energia all'aumentare della frequenza della radiazione. Darò qui una breve derivazione per queste leggi.
La legge di Stefan si ricava a partire dalla legge di Boyle, considerando la radiazione nella cavità come un gas perfetto:
PV = N k T, (1)
ove N è qui il numero di oscillatori (modi normali nella cavità). Abbiamo 3 direzioni spaziali possibili per le oscillazioni, e ciascuna possiede due coordinate normali che danno contributo quadratico all'hamiltoniama, cosicché il teorema dell'equipartizione dell'energia prevede
U = 3 N kT, (2)
e da queste si ottiene
PV = 1/3 U. (3)
Consideriamo allora la seconda legge della termodinamica, espressa in forma differenziale:
(dU/dV)T = - P + T (dP/dT)V. (4)
Se scriviamo l'energia interna U come integrale della densità di energia Y(n,T):
U = V ò Y(n,T)dn = V u(T), (5)
possiamo allora scrivere dalla (4):
u(T) = -1/3 u(T) + T (du/dT), (6)
da cui segue, integrando:
u(T) = sSB T4. (7)
Questa è la legge di Stefan-Boltzmann: Stefan la ricavò sperimentalmente nel 1884, e Boltzmann ne diede l'interpretazione teorica. sSB = 5.67 10-8 W m-2 K-4 è la costante di Stefan-Boltzmann.
La legge di Wien si ottiene ragionando sulle espansioni adiabatiche della cavità, considerando gli oscillatori in equilibrio termico come un gas monoatomico - un gas cioè per il quale le espansioni non causano una ridistribuzione dell'energia tra moti traslazionali e vibrazionali. Partiamo dall'equazione generale delle adiabatiche:
dU + P dV = 0 (8)
che, utilizzando la derivata totale dell'equazione (3), può riscriversi nella forma
4/3 P dV = V dP (9)
da cui si trova l'equazione generale delle adiabatiche
P3/4 V = cost. (10)
Poiché la legge di Stefan stabilisce una proporzionalità tra l'energia interna U e VT4, l'equazione (3) ci dice che anche la pressione P deve essere proporzionale a T4, e quindi per le adiabatiche possiamo scrivere
T3 V = cost'. (11)
Ma nell'espansione adiabatica un banale ragionamento dimensionale ci spinge a ipotizzare che le lunghezze d'onda si modifichino in maniera corrispondente alle dimensioni della cavità: allora, poiché l dev'essere proporzionale a V1/3, troviamo la legge di Wien, del 1894:
T3 l3 = cost', o meglio l/T = cost''. (12)
Entrambe queste leggi sono ben verificate, e portano a credere che i ragionamenti classici debbano fornire previsioni sensate anche per Y(n,T). Una forma per Y fu determinata classicamente da Rayleigh, che considerò una cavità cubica di lato a, in equilibrio con la radiazione termica al suo interno. Se le pareti della cavità sono metalliche, la cavità contiene onde stazionarie che hanno nodi alle pareti, e da ciò si può dedurre il loro numero in funzione della frequenza: se la loro equazione è del tipo
f (x,y,z) = C sin (plx/a) sin (pmy/a) sin (pnz/a) (13)
allora il numero di modi in funzione della frequenza si trova contando il numero di interi positivi l,m,n contenuti in una corona sferica di raggio:
r = (l2+m2+n2)1/2 = 2an/c (14)
e quindi
N(n) = (1/8) * 2 * 4/3 p (2an/c)3 = 8p/3 n3/c3 V. (15)
Derivando questa espressione rispetto a n, ed associando ad ogni modo di oscillazione l'energia kT/2 (moltiplicato per i due stati di polarizzazione), Rayleigh trovò infine
Y(n,T) = 8p n2/c3 kT, (16)
espressione che mostra un qualche accordo con i dati sperimentali solo a frequenze molto basse, ed è illimitata per n tendente all'infinito.
La soluzione del problema della cavità isoterma fu fornita da Max Planck nel 1900: egli scoprì che se a ciascun modo normale di oscillazione veniva associata una energia media dipendente dalla frequenza, si poteva riprodurre la forma sperimentale della funzione Y. Planck ipotizzò che ad ogni modo di oscillazione andasse assegnata un'energia che fosse multiplo intero della quantità hn: bisognava allora calcolare la distribuzione di queste energie tra gli oscillatori usando la statistica di Boltzmann. La funzione di partizione è
Z = Sn exp (-bnhn) = [1- exp (-bhn)]-1 (17)
e l'energia media è
<E> = -d/db ln {-1+exp(-bhn)} = hn/[exp (bhn)-1] (18)
per cui per la densità di energia Y si trova l'espressione
Y(n,T) = 8p n2/c3 hn/[exp(hn/kT) - 1]. (19)
La distribuzione così ottenuta da Planck era in accordo perfetto con tutti i dati sperimentali, e gli permise anche una precisa misura della carica elementare dell'elettrone, dato che l'interpolazione dei dati permetteva di ottenere un valore per le costanti h e k: dalla conoscenza di R=NAk e di F=NAe si può trovare e. Il valore trovato da Planck si discosta dal valore corrente per solamente il 2.3% !
Al lavoro di Planck non fu dato alcun rilievo dalla comunità fisica del tempo. La sua ipotesi di una quantizzazione dell'energia delle onde elettromagnetiche era così originale che egli stesso fu restio a dare importanza fisica al suo metodo di calcolo, cosicché invece di mettersi al lavoro sulle implicazioni della sua ipotesi si mise alla ricerca di una derivazione della sua formula mediante metodi classici - cosa che non era riuscita a Raileigh, e che non riuscì nemmeno a lui.
Dell'ipotesi della quantizzazione dell'energia non si seppe più nulla per cinque anni, fino a quando Einstein non la utilizzò per dare spiegazione di alcuni fatti sperimentali già noti dal lavoro di Lenard sull'emissione di elettroni dai metalli illuminati da luce ultravioletta. Einstein ipotizzò che la radiazione fosse composta da un gran numero di corpuscoli, ciascuno trasportante una quantità di energia dipendente dalla frequenza della luce: E = hn. Questa assunzione gli permise di prevedere gli aspetti essenziali dell'effetto fotoelettrico dieci anni prima che fosse possibile a Millikan di verificarne l'esattezza, e gli valse il premio Nobel. Va tuttavia notato che ancora nel 1914 c'era molto scetticismo sull'ipotesi dei quanti, se è vero che, nell'accogliere Einstein come membro onorario dell'accademia Prussiana delle Scienze, gli fu addebitata l'ipotesi dei quanti come un "passo falso". In effetti, nel 1912 la scoperta della diffrazione di raggi X dai cristalli aveva permesso a Max Von Laue una nuova evidenza della natura ondulatoria anche della radiazione più penetrante allora conosciuta.