Simmetrie, principi di invarianza e leggi di conservazione nella fisica contemporanea

 

 

 

Se le leggi del mondo subatomico fossero completamente note, non ci sarebbe alcun bisogno di investigare la simmetria dei sistemi fisici e le corrispondenti leggi di conservazione cui essi obbediscono. Lo stato dei sistemi sarebbe calcolabile a partire da una equazione che conterrebbe implicitamente tutte le leggi di conservazione, come accade per le leggi classiche del moto: nota l'Hamiltoniana H, le leggi del moto sono

 

dpi/dt = -¶H/¶qi,

dqi/dt = +H/pi,

 

e la conservazione dell'impulso si ricava immediatamente dall'analisi dell'effetto su H di traslazioni spaziali infinitesime e arbitrarie dq:

 

qi ® qi+dq Þ dH = dq Si H/qi = - dq Si dpi/dt,

 

in quanto dH=0 implica subito pi(t) = pi(0) per tutti gli i; la conservazione dell'energia si ottiene similmente considerando traslazioni nel tempo dt.

A differenza delle leggi classiche, le leggi della fisica subnucleare non sono note, e dobbiamo quindi compiere il cammino inverso: investigare la fenomenologia delle interazioni fra le particelle, e scoprire strutture a multipletti e corrispondenti degenerazioni negli spettri di massa; oppure identificare regole di selezione che impediscono determinate transizioni. Da queste si possono dedurre la simmetria del sistema rispetto a un certo gruppo di trasformazioni, G, e la presenza di leggi di conservazione che rendono nulli certi elementi di matrice. La conoscenza di questi, infine, è determinante per la completa comprensione dell'hamiltoniana. Si può delineare quanto detto con uno schema:

 

 

 

 

Anche se non conosciamo le leggi del mondo subnucleare, possiamo tuttavia dire parecchie cose, giacché sappiamo qual è il formalismo nel quale dobbiamo lavorare, quello quantomeccanico. Il sistema allo studio sarà descritto da una funzione d'onda Y, che soddisfa l'equazione di Schrodinger

 

ih/2p dY/dt = HY. (1)

 

Il valore di un osservabile F nello stato Y(t) è dato dal suo valore di aspettazione, <F>. Ci chiediamo sotto che condizioni esso sarà indipendente dal tempo, ovvero invariante per traslazioni temporali. Supponiamo che esso non dipenda esplicitamente da t: allora

 

d/dt <F> = d/dt ò d3x Y*FY = ò d3x [dY*/dt FY + Y*FdY/dt]

 

ed utilizzando la complessa coniugata dell'equazione (1)

 

d/dt <F> = 2pi/h ò d3x Y*[ HF - FH]Y. (2)

 

F è una quantità conservata se commuta con l'operatore hamiltoniano del sistema. In tal caso, le autofunzioni potranno essere scelte in modo tale da essere contemporaneamente autofunzioni di H e di F. Ad F sarà quindi associabile un ben definito numero quantico conservato, il suo autovalore sullo stato del sistema.

Le trasformazioni indotte dagli operatori quantomeccanici sono di due tipi: continue e discrete. Come esempio di trasformazioni continue possiamo prendere le rotazioni attorno ad un asse: esse sono definite da un parametro continuo, l'angolo di rotazione, e possiamo scrivere

 

y' = y(f+df) = y(f) + df ¶y/df = (1+df ¶/¶f) y(f) = Ry(f).

 

Nella relazione scritta per R si può riconoscere l'operatore della componente z del momento angolare:

 

Jz = ih/2p ¶/¶f,

 

e quindi

 

R = 1 - 2pi/h Jz df.

 

Una rotazione finita Df si ottiene ripetendo la rotazione infinitesima R n volte, mandando nel contempo df a zero: allora

 

R = limn (1 - 2pi/h Jz df )n = exp (-2pi/h Jz Df).

 

La conservazione del momento angolare attorno a un asse z corrisponde dunque all'invarianza dell'Hamiltoniano per rotazioni attorno a quell'asse, ed è espressa dalla relazione di commutazione [Jz,H]=0.

Come esempio di trasformazione discreta possiamo citare l'inversione delle coordinate spaziali: essa è prodotta dall'operatore P tale che

 

PY(x,y,z) = Y(-x,-y,-z).

 

P è un operatore unitario, e ha chiaramente autovalori + o - 1. Le funzioni d'onda possono avere o meno parità definita; nella maggior parte dei casi, P commuta con l'hamiltoniana, e l'autovalore di P è una costante del moto. Ad esempio, nei potenziali centrali H rimane invariato sotto l'azione di P, e gli stati legati del sistema hanno definita parità. Un caso classico è dato dalle armoniche sferiche Ylm(q,f): l'inversione spaziale equivale ad una rotazione di p per entrambi gli angoli, cosicché

 

PYlm(q,f)=Ylm(q-p,f+p) = (-1)l+2mYlm(q,f) = -1l Ylm(q,f);

 

le armoniche sferiche hanno dunque parità (-1)l. Fino al 1956 si credeva che tutte le interazioni conservassero la parità, in quanto essa era considerata una simmetria dello spazio al pari delle rotazioni e delle traslazioni. Furono per primi Lee e Yang a far notare come non vi fosse alcuna evidenza sperimentale della conservazione della parità nelle interazioni deboli, e pochi mesi più tardi un esperimento condotto da Wu e collaboratori al National Bureau of Standards permise di stabilire che la parità era effettivamente violata nel decadimento b del cobalto 60: raffreddando questa sostanza a 0.01 °K e applicando un campo magnetico, fu possibile a Wu di ottenere una orientazione quasi completa degli spin dei nuclei di cobalto (che ha J=5), cosicché nel decadimento

 

60Co ® 60Ni + e + ne

 

(interazione alla Gamow-Teller, con variazione di una unità nello spin del nucleo) fu osservato che gli elettroni venivano emessi preferenzialmente nella direzione opposta allo spin del cobalto, segno che per essi era favorita una elicità levogira. L'hamiltoniana delle interazioni deboli in effetti si scrive in una forma del tipo

 

H = GF/21/2 [ u+g0 gm(ca+cvg5) d] [ e+g0 gm (1+g5) n],

 

e quindi sono presenti simultaneamente correnti vettoriali (gm) e assiali (gmg5), che trasformano in modo opposto per parità.

 

Sono passati quasi quarant'anni dalla scoperta della violazione di P nelle interazioni deboli, e senza dubbio sono stati compiuti notevoli progressi nella comprensione di queste interazioni. La nostra attuale comprensione del mondo fisico subnucleare si basa sull'ipotesi fondamentale che le quantità fisiche che ci aspettiamo siano conservate - come la carica elettrica, ad esempio - lo siano in ogni punto dello spazio-tempo, cioè localmente, e non solamente a livello globale. Nell'ambito dell'elettrodinamica quantistica, ad esempio, imporre la conservazione della carica elettrica in ogni punto dello spazio equivale a richiedere che la funzione lagrangiana libera L rimanga invariata in seguito a trasformazioni locali della fase dei campi:

 

Y(x) ® exp(iea(x))Y(x) ==> L ® L.

 

Ciò forza l'introduzione di un campo vettoriale Am, che si accoppia alla corrente elettromagnetica con intensità proporzionale alla carica elementare e. La carica e riveste anche il ruolo di generatore del gruppo di trasformazioni locali di fase, un gruppo abeliano U(1). La particella vettore del campo A è il fotone, e l'invarianza di L è garantita solo se il fotone è privo di massa. Le trasformazioni come la (3) sono chiamate trasformazioni locali di gauge, e in generale le teorie che si basano su principi di simmetria rispetto a tali operazioni sono dette teorie di gauge.

Il primo passo verso l'unificazione dell'elettromagnetismo con le interazioni deboli fu compiuto da S.Glashow nel 1961. Egli introdusse un gruppo di trasformazioni locali di gauge SU(2)LxU(1)Y rispetto alle quali la lagrangiana dei leptoni era invariante: scritti i leptoni sotto la forma di doppietti di isospin debole, una trasformazione locale di gauge opera su di essi mediante matrici hermitiane 2x2, i cui elementi sono l'esatto analogo della funzione a(x) incontrata in (3). Ad essi corrispondono quattro bosoni vettori, che trasmettono i quattro campi di gauge relativi, e con i quali si possono spiegare entrambe le interazioni, elettromagnetica e debole. Come il fotone, i bosoni del gruppo SU(2)LxU(1)Y devono avere massa nulla, altrimenti la simmetria della funzione lagrangiana rispetto alle trasformazioni gruppali viene a mancare.

Il problema del modello enunciato da Glashow risiedeva nel fatto che vari risultati sperimentali, come le sezioni d'urto di scattering leptone-nucleone, non erano spiegabili se non assumendo che i bosoni vettori dell'interazione debole fossero dotati di alta massa. A ciò fu proposta una brillante soluzione pochi anni più tardi da S.Weinberg e A.Salam, che ipotizzarono che fosse all'opera un meccanismo, la rottura spontanea della simmetria, che dotava i tre bosoni vettori dell'interazione debole di massa. Il prezzo da pagare era l'introduzione di un campo scalare - il campo di Higgs - mediato da un appropriato bosone H0. La dimostrazione della rinormalizzabilità della teoria così ottenuta fu fornita da G. 't Hooft nel 1971, e, dodici anni più tardi, con la scoperta ai laboratori CERN di Ginevra dei bosoni vettori W e Z da parte delle collaborazioni UA1 e UA2, la correttezza del modello elettrodebole acquistò unanime consenso.

Al gruppo SU(2)LxU(1)Y si può aggiungere il gruppo di simmetria SU(3)c, per ottenere con la QCD una descrizione anche delle interazioni forti. La carica sorgente del campo è chiamata colore, e coincide con quell'attributo dei quarks invocato a partire dal 1964 nel modello statico degli adroni per evitare il conflitto con il principio di esclusione di Pauli: particelle come la D++ potevano davvero essere formate da tre identici fermioni u a spin parallelo solo se questi possedevano qualche altro attributo capace di distinguerli. I portatori della forza forte sono otto gluoni, i generatori del gruppo SU(3)c; essi sono privi di massa, in quanto la simmetria di SU(3)c non è rotta da meccanismi come quello di Higgs. I gluoni trasportano la carica di colore, che si conserva nelle interazioni forti. Combinando la teoria elettrodebole di Glashow-Salam-Weinberg con la QCD si ottiene una teoria invariante di gauge basata sul gruppo SU(3)CxSU(2)LxU(1)Y: a questa teoria si dà oggi comunemente il nome di Modello Standard.

Il Modello Standard ha fino ad oggi ottenuto numerosi successi - primo su tutti la previsione dell'esistenza e delle caratteristiche dei bosoni vettori W e Z - ed è strumento indispensabile di calcolo delle quantità sperimentalmente misurabili in fisica delle particelle. Ma nonostante i traguardi raggiunti, rimangono irrisolti numerosi problemi, il più spinoso dei quali è forse l'esistenza di ben diciannove parametri arbitrari dei quali la teoria non dà previsione: le masse dei quarks e dei leptoni carichi, i quattro parametri (tre angoli e una fase) necessari a definire la matrice CKM, che regola il mescolamento fra le tre generazioni di quarks; i parametri degli accoppiamenti, aem, aS e qw, i due parametri del potenziale di Higgs, e il parametro qvac della QCD. Il modello attende inoltre un'ultima sostanziale conferma: la scoperta del bosone scalare di Higgs.