Lo spin e le sue evidenze sperimentali
Nel suo famoso articolo del 1925, in cui enunciò il principio di esclusione, Wolfgang Pauli introdusse per la prima volta quattro numeri quantici per descrivere compiutamente lo stato degli elettroni all'interno degli orbitali atomici. Si tratta di una dissertazione molto formale, in cui non si fa accenno al significato fisico di questa assunzione; ma tuttavia le implicazioni sono chiare. L'articolo fu letto di lì a poco da due studenti, Uhlembeck e Goudsmith, che si posero il problema di che significato associare al quarto numero quantico associato al moto degli elettroni: se ad ogni numero quantico corrisponde un grado di libertà del sistema, e l'elettrone è schematizzabile come una carica puntiforme, tre numeri quantici devono essere sufficienti. Il quarto numero quantico poteva ricevere collocazione solo ipotizzando per gli elettroni un quarto grado di libertà rotatorio.
Dal punto di vista sperimentale, nel frattempo, i tempi erano maturi per l'osservazione degli effetti di tale ipotesi. In effetti, già nel 1922 Stern e Gerlach avevano compiuto un importante esperimento che dimostrava la quantizzazione del momento angolare, ma non erano riusciti a dare una spiegazione completa ai fenomeni osservati. Il loro apparato consisteva in un forno che forniva per evaporazione un gas di atomi di argento, un dispositivo di collimazione degli atomi che permetteva di ottenere un fascio di direzione ben definita, un magnete in grado di generare un campo magnetico disuniforme, e uno schermo ove gli atomi si depositavano dopo aver attraversato il campo magnetico (vedi figura).
Presa la direzione di moto degli atomi come asse x, e le linee del campo magnetico lungo l'asse z, i poli del magnete erano conformati in modo tale da fornire un gradiente non nullo in questa direzione: a causa del dipolo magnetico associato al momento angolare degli atomi veniva esercitata su di essi una forza pari a
F =
¶B / ¶z (ml)z = ¶B / ¶z (-2p gl mB / h) Lz.
Attraversando il magnete gli atomi venivano quindi deflessi lungo l'asse z in misura proporzionale al loro momento angolare. Sullo schermo si osservavano due o più bande distinte, risultato che era qualitativamente in accordo con la quantizzazione del momento angolare, ma quantitativamente non era spiegabile: i possibili valori di L lungo l'asse di quantizzazione sono 2l
z + 1, e questo numero non può essere eguale a 2 se lz assume solo valori interi. Stern e Gerlach avevano dunque osservato la prima evidenza sperimentale del momento magnetico dovuto allo spin degli elettroni, pur senza accorgersene.
L'esperimento fu ripetuto nel 1927 da Phipps e Taylor con atomi di idrogeno. A causa della temperatura non troppo elevata del forno, gli atomi ne uscivano nello stato fondamentale, e quindi non possedevano momento angolare orbitale (l = 0). Nonostante ciò, il fascio veniva egualmente scisso in due componenti, deflesse in direzioni opposte lungo l'asse z. Ciò indicava con certezza la presenza negli atomi di un momento magnetico non ancora considerato; e semplici calcoli mostravano che non poteva trattarsi di un momento magnetico associato ai nuclei, poiché a causa della loro alta massa l'effetto sarebbe stato inosservabile in tal caso. L'unica possibile conclusione consisteva nell'associare il momento magnetico agli elettroni. Questi possiedono pertanto un quarto numero quantico di spin, che può assumere solo due valori: +1/2 e
-1/2 in unità h/2p. Lo spin non è compreso nell'equazione di Schroedinger: come vedremo, esso compare in maniera automatica solamente in una descrizione relativistica della meccanica quantistica.
Una comprensione teorica completa dello spin associato agli elettroni si deve a Dirac, che modificò l'equazione di Schroedinger inserendovi la dipendenza relativistica dell'energia dall'impulso
E
2 = p2c2 + m2c4. (1)
Un simile tentativo era già stato compiuto da Klein e Gordon, ma l'equazione che essi avevano ottenuto dava luogo a soluzioni di energia negativa, e inoltre la densità di probabilità che si otteneva da quell'equazione non era definita positiva. Dirac eliminò il secondo problema scrivendo un'equazione lineare nelle coordinate spaziotemporali,
H
y = ( a · P + b m ) y, (2)
ove
ai e b devono essere matrici quadrate di dimensione non inferiore a 4 per soddisfare l'equazione (1). L'equazione (2) in un certo senso contiene già, al suo interno, la nozione di spin, perché le soluzioni di questa equazione lasciano spazio per un nuovo numero quantico il cui operatore commuta con l'hamiltoniano e con l'operatore impulso. Lo spin è dunque un attributo intrinseco degli elettroni, e compare solo in una trattazione relativistica; esso non è descrivibile classicamente: l'immagine classica dell'elettrone come una sfera carica rotante non è sostenibile quantitativamente né qualitativamente. E del resto lo stesso principio di corrispondenza non si può applicare a un numero quantico che possiede solo due valori.
Pochi anni dopo la descrizione di Dirac dell'elettrone per mezzo dell'equazione (2) cominciarono ad essere scoperte una serie di particelle elementari: dapprima il neutrone (da Chadwick, nel 1932, dallo studio delle interazioni fra particelle
a e bersagli di berillio) e il positrone (da Anderssen, nello stesso anno, nelle interazioni prodotte dai raggi cosmici), poi i muoni e i mesoni p (anche queste particelle furono scoperte nei raggi cosmici), e a seguire una messe di stati adronici ottenuti in esperimenti di produzione ottenute con i primi ciclotroni. Per ognuna di queste particelle fu possibile determinare il numero quantico di spin, dall'applicazione della conservazione del momento angolare o di altre leggi fondamentali alle reazioni studiate. Ad esempio, lo spin del pione fu dedotto dall'applicazione del principio del bilancio dettagliato alla reazione reversibile
p + p
« p+ + d: (3)
il principio del bilancio dettagliato prescrive che la sezione d'urto dei due processi sia eguale, a meno di un fattore dipendente dallo spin degli stati iniziale e finale. La misura della sezione d'urto differenziale d
s/dW dei due processi permise perciò di determinare che sp=0.
Per le particelle ultrerelativistiche soggette alle interazioni deboli torna più utile dello spin il concetto di elicità, che è data dalla componente dello spin nella direzione del moto, h = (
s*p)/sp; l'elicità è un buon numero quantico solo per le particelle a massa nulla: per le particelle con massa diversa da zero è sempre possibile effettuare una trasformazione di Lorentz che ne modifichi lo stato di elicità.L'elicità godette di un grande interesse negli anni attorno al 1956-57, quando il famoso esperimento di Wu dimostrò la non conservazione della parità nei decadimenti
b del cobalto 60. La violazione di P implicava infatti che l'hamiltoniana debole fosse scrivibile come un prodotto di correnti del tipo
H = (G
F/21/2) ò d3x Si=S,V,... { Ci[u†(x)g°Gi n(x)] [e†(x) g° Gi (1±g5) n(x)] }.
ove si sono indicate con
Gi le varie combinazioni di matrici g. La matrice (1±g5) non è altro (a parte un fattore 1/2) che la rappresentazione di Dirac dell'operatore che proietta sugli stati di elicità levogira, Pl (se il segno è negativo) o destrogira, Pr (se è positivo): ciò implica che il neutrino deve avere elicità definita. Se il neutrino è levogiro, il fattore che rende non nullo l'hamiltoniano è quello con il segno negativo, e le matrici Gi di tipo scalare e tensore danno contributo nullo ad H (perché anticommutano con Pl): in tal caso l'interazione debole è combinazione di correnti vettori e assiali. Se viceversa il neutrino è destrogiro, sono S e T le correnti che giocano un ruolo nell'interazione debole.Determinare lo stato di elicità dei neutrini
- particelle che hanno sezioni d'urto di scattering con i nucleoni dell'ordine di G2s - può sembrare un'impresa disperata. Ma questo fu possibile nel 1958 a Goldhaber, Grodzins e Sunyar in un esperimento che per profondità di concezione e semplicità dell'arrangiamento va considerato una pietra miliare della fisica delle particelle elementari - a mio parere ancora più del rivoluzionario esperimento che permise alla signora Wu la determinazione dell'anisotropia dell'emissione degli elettroni nei decadimenti di cobalto polarizzato, che pure le valse il premio Nobel.
[continua più o meno come il tema sulle interazioni deboli dei nuclei]