La dualità onda - corpuscolo: si illustri con un esempio la complementarità delle due descrizioni.

 

 

 

In fisica classica i fenomeni di trasporto di energia coinvolgono onde o particelle: per certi fenomeni viene utilizzato un modello ondulatorio, e per altri un modello corpuscolare. Ad esempio, la pressione di un gas è concepita in termini della teoria cinetica molecolare, mentre per la diffusione del suono è efficace una descrizione ondulatoria. I successi ottenuti con l'uso alternativo di queste due descrizioni si estendono fino all'inizio del ventesimo secolo, con l'applicazione della teoria ondulatoria di Maxwell alla radiazione e la scoperta delle prime particelle elementari.

A causa di ciò, i fisici classici erano del tutto impreparati all'idea che per comprendere appieno la radiazione elettromagnetica era necessario utilizzare ora l'una, ora l'altra descrizione: tanto da far suggerire a Bragg che la luce avesse comportamento ondulatorio i giorni dispari, e corpuscolare quelli pari. E ancora più sconvolgente fu la scoperta, negli esperimenti di Davisson-Germer e G.Thomson nel 1927, che anche per la materia andava utilizzata in taluni casi una descrizione ondulatoria.

Questa apparente schizofrenia fu ben descritta da Bohr in un principio di complementarità: gli aspetti corpuscolare e ondulatorio sono complementari, ed esistono solamente come potenzialità; un esperimento può convertire questa potenzialità in un fenomeno osservabile, ma l'osservazione di uno dei due aspetti elimina l'altro. Per la radiazione elettromagnetica, la descrizione corpuscolare si rivelava efficace nelle interazioni con la materia, e la descrizione ondulatoria era soddisfacente per gli aspetti legati alla propagazione.

 

L'esempio più classico che si può portare per spiegare la complementarità delle descrizioni ondulatoria e corpuscolare consiste nella diffrazione di elettroni da due sottili fenditure parallele, apparato con il quale Young dimostrò a suo tempo l'aspetto ondulatorio della luce. Se poniamo una schiera di rivelatori a distanza D dietro alle fenditure, e illuminiamo queste con un fascio di elettroni di impulso p ben definito, siamo certi del risultato: osserveremo (a meno di un inessenziale fattore di smorzamento) uno schema di conteggi del tipo

 

I = I0 cos2 (p a x / D l), (1)

 

ove a è la spaziatura delle fenditure, x la posizione del rivelatore, e l = h/p. Ciò dimostra il comportamento ondulatorio degli elettroni, giacché l'equazione (1) può essere spiegata solo utilizzando le leggi della propagazione per onde: se infatti scriviamo l'equazione delle onde sferiche da ciascuna fenditura come

 

A1 = A0 sin ( w t - 2 r1 p/l )

A2 = A0 sin ( w t - 2 r2 p/l ),

 

sappiamo che la differenza di fase d fra le due ampiezze sarà data da

 

d = 2p/l ( r1 - r2 ) @ 2p/l (a x / D),

 

e sommando vettorialmente A1 e A2 troviamo per l'ampiezza totale la relazione

 

A = ( A02 + A02 + 2 A02 cos d )1/2

 

da cui l'intensità nella stessa forma di (1):

 

I = 4A02 cos2 d/2. (2)

 

Abbiamo poi un'ulteriore conferma del comportamento ondulatorio se controlliamo i conteggi dei rivelatori posti in corrispondenza delle zone di interferenza distruttiva fra i fronti d'onda diffusi dalle fenditure: essi ricevono intensità nulla quando entrambe le fenditure sono aperte, ma appena chiudiamo una delle due fenditure iniziano a ricevere un flusso di elettroni non nullo: fatto, questo, che risulta incomprensibile se si rimane attaccati alla descrizione corpuscolare. Siamo forzati a rigettare l'ipotesi che gli elettroni attraversino o l'una o l'altra delle due fenditure, se non li osserviamo nell'atto di farlo.

Le fenditure dimostrano quindi che abbiamo a che fare con onde di elettroni, o meglio che per descrivere la propagazione degli elettroni bisogna utilizzare la fisica della propagazione ondulatoria. E tuttavia l'interazione di quegli stessi elettroni con i rivelatori ci dà un risultato opposto: per descrivere la loro interazione con il mezzo sensibile siamo obbligati ad utilizzare una descrizione corpuscolare. Ad esempio, se al posto dei rivelatori mettiamo una camera a nebbia, e diminuiamo sufficientemente l'intensità degli elettroni che arrivano alle fenditure, saremo in grado di osservare le singole traiettorie degli elettroni nella camera, man mano che essi arrivano.

Per mostrare con chiarezza la complementarità delle due descrizioni si usa ipotizzare una variazione dell'esperimento ora descritto che ci permetta l'osservazione di quale fenditura attraversa ogni elettrone prima di giungere al rivelatore. Supponendo sempre molto bassa l'intensità degli elettroni, in modo tale da doverci occupare di uno solo di essi per volta (sappiamo che la figura di interferenza è del tutto indipendente dall'intensità del fascio di elettroni, né più né meno di quanto d dipenda da 4A02 nell'equazione (2)), possiamo pensare di ottenere l'informazione su quale fenditura sia stata attraversata ponendo delle particelle a valle delle fenditure: il rinculo di una particella colpita dall'elettrone ci darà notizia di quale fenditura è stata attraversata se Dx << a. Durante la collisione la particella colpita subirà una variazione di impulso Dpy eguale ed opposta alla variazione subita dall'elettrone; poiché un elettrone che produce l'effetto di interferenza cade sul primo minimo se ha

 

q = py /px = l/2a = h / (2 pxa),

 

dobbiamo supporre, se non vogliamo che la nostra osservazione distrugga la figura di interferenza, che per l'elettrone valga la relazione

 

Dpy/Px << q = h / (2 pxa)

 

ovvero

 

Dpy << h/2a.

 

Da quanto detto segue che stiamo richiedendo, per la particella colpita dall'elettrone, che

 

Dy Dpy << a (h/2a) = h/2

 

risultato incompatibile con il principio di indeterminazione di Heisenberg: ne dobbiamo dedurre che non siamo in grado di mantenere la figura di interferenza se riusciamo a conoscere per quale fenditura gli elettroni passano.

Il risultato ora visto ha validità del tutto generale, in quanto si ottiene anche se si ipotizzano metodi diversi per conoscere quale fenditura l'elettrone ha attraversato: interazioni con fotoni, materiale scintillatore, o il rinculo dell'intero schermo con le fenditure, come qualcuno ha proposto. Cioè, risulta impossibile rivelare l'aspetto corpuscolare degli elettroni (l'attraversamento di una particolare fenditura) e l'aspetto ondulatorio (la figura di interferenza che ne deriva) per lo stesso fenomeno fisico.